Si è concluso al Tip Teatro di Lamezia Terme il “Laboratorio di antimafia sociale: impegno civile è esercizio di speranza” svoltosi a corredo del Festival Ormeggi organizzato dall’associazione Open Space. Anche oggi, dopo quanto successo nella prima giornata, tanti sono stati i racconti di chi la mafia l’ha vissuta sulla propria pelle, perdendo i propri cari in agguati che ancora gridano giustizia.
Toccante l’intervento di Marisa Garofalo, sorella di Lea testimone di giustizia uccisa a Milano dal suo ex compagno Carlo Cosco e Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino a causa delle dichiarazioni rese ai magistrati dalla donna in meriti all’attività di spaccio e agli omicidi commessi proprio dai fratelli Cosco. Lea, uccisa dalla ‘ndrangheta, era da poco uscita dal programma di protezione testimoni. “Mia sorella Lea sapeva quello a cui andava incontro. Sapeva che sarebbe stata uccisa – ha affermato Marisa – e mi pregò, quando questo fosse avvenuto, di non fare nulla perché avrei messo in pericolo tutta la mia famiglia. Non ho seguito la volontà di mia sorella perché è giusto che tutti sappiano quello che le è accaduto. In questa vicenda ci sono le responsabilità della criminalità e anche delle istituzioni”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento di Stefania Tramonte, figlia di Francesco Tramonte, uno dei due netturbini (l’altro era Pasquale Cristiano) uccisi il 24 maggio 1991 dalla ‘ndrangheta a Lamezia Terme. Vittime scelte a caso per sottolineare il volere della criminalità di appropriarsi del monopolio degli appalti per il servizio di nettezza urbana. “Noi non smettiamo di chiedere giustizia sulla vicenda di mio padre. Credo che non ci sia ancora oggi una verità processuale – ha detto – perché sono coinvolti livelli ben diversi da quelli della criminalità a partire dalla politica”.
Quindi l’intervento dello scrittore, poeta ed insegnante Salvo Vitale che, dialogando con Antonio Chieffalo ha presentato il suo libro “In nome dell’antimafia. Cronache da Telejato” nel quale denuncia il sistema perverso di alcuni magistrati che utilizzavano il sequestro dei beni per garantire arricchimenti personali loro e di una serie di professionisti di riferimento. Vitale si è soffermato sul racconto di Felicia Impastato, madre di Peppino, descritta come una donna fuori dal suo tempo per il coraggio mostrato nelle vicende familiari e legate alla sua esperienza personale e a Peppino. Ha lottato fino all’ultimo per veder riconosciuta la verità sulla morte del figlio e pochi mesi prima di morire, nell’aula di tribunale, di fronte a Tano Badalamenti, mandante dell’omicidio di Peppino Impastato, puntando il dito disse “Sei tu che hai ucciso mio figlio”.
A parlare di Peppino Impastato anche Faro Di Maggio che lavorava assieme a Peppino a Radio Aut. “Avevamo creato un grande gruppo di sognatori – ha dichiarato nel corso del suo intervento – che con lo spirito dei ventenni volevano combattere la criminalità, con un elemento innovativo: attraverso la trasmissione “Onda pazza” ridicolizzarne comportamenti e malefatte. Rispondeva ad un preciso disegno, ossia quello di togliere loro l’aureola di invincibili che parte della società gli aveva cucito addosso”.
A moderare i vari interventi Antonio Chieffallo, Silvia Camerino e Mauro Bruno Belsito.